Recentemente un atleta americano (Ryan Woods) è stato trovato positivo alla DHEA a un controllo antidoping ai Mondiali OCR in Canada. Subito, anche in Italia, si sono scatenate (ovviamente su Facebook) le richieste di intervenire facendo controlli e sono state ampie le polemiche sul fatto che nel nostro Paese non si faccia nulla.
Sappiamo che se ne è parlato anche in Federazione OCR durante la ultima assemblea e sappiamo anche che dopo il grande dibattito alla richiesta di partecipare ad un comitato che lavorasse sul tema AntiDoping nessuno dei presenti si è poi reso disponibile.
Abbiamo chiesto quindi a Daniele Ceccotti, atleta OCR e vincitore di una medaglia ai Campionati Europei OCR 2017, di provare a fare chiarezza sul tema.
OCR, Doping e AntiDoping
di Daniele Ceccotti
Ho iniziato chiedendo all’avvocato David Di Prospero, esperto di diritto sportivo e con quatto Inferno alle spalle, normative su possibili controlli antidoping nelle gare OCR.
“Per quel che concerne la normativa antidoping nell’ambito di federazioni e associazioni non affiliate con il CONI, la problematica circa l’obbligatorietà dei controlli antidoping si fonda, purtroppo quasi esclusivamente sull’art. 32 della Costituzione Italiana che sancisce la ‘tutela della salute come fondamentale diritto dell’individuo’.
Solo nel 2000 l’Italia emana la legge n. 376 (“Disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping”), che, prima in Europa prevede anche conseguenze penali circa l’uso e la somministrazione di sostanze dopanti.
La crescente diffusione del doping, in particolare in ambiti non prettamente agonistici, è problema endemico delle singole associazioni sportive, le quali oggi si limitano a far sottoscrivere agli iscritti alle singole gare, o a un intero circuito, i propri regolamenti antidoping, o dei semplici codici etici, senza tuttavia riuscire a effettuare controlli preventivi e soprattutto successivi.
In particolare esiste un evidente vuoto normativo circa i soggetti demandati al controllo, la validità delle singole sanzioni, l’impossibilità per l’atleta ingiustamente sanzionato di ricorrere contro una ingiusta squalifica, o sospensione”.
Queste affermazioni mi hanno spinto ad approfondire la ricerca e a fare chiarezza.
… semplificando…
L’unico ente riconosciuto in Italia deputato al controllo antidoping è il CONI, sotto diretto controllo della WADA (World Anti-Doping Agency), agenzia pubblica-privata creata nel 1999 per volontà del CIO (Comitato Olimpico Internazionale). La WADA ha redatto un suo codice al quale tutti i comitati delle nazioni partecipanti alle Olimpiadi sottostanno.
Il CONI, tramite il Ministero della Sanità, effettua controlli antidoping a sua discrezione, secondo procedure ben catalogate, precise e rigorose.
Le singole Federazioni affiliate al CONI possono segnalare manifestazioni di particolare importanza o pregio, in cui la presenza di un controllo antidoping possa essere doverosa, ma resta comunque al CONI la scelta finale, insomma, non è detto che il controllo ci sarà. Quindi nessuna Federazione ha la propria personale capacità di controllo antidoping.
Cè da aggiungere che il solo laboratorio in Italia accreditato dalla WADA (su 35 centri abilitati mondiali) è a Roma, presso il complesso sportivo dell’Acqua Acetosa, capace di un carico analitico complessivo di 15.000 campioni biologici l’anno.
Già quanto detto può farci riflettere. 15.000 analisi possibili annuali per 44 Federazioni affiliate per un numero di competizioni difficili da calcolare, senza considerare gli atleti di rilevanza nazionale che hanno controlli frequenti e obbligatori. Per ogni singola gara di ogni singolo sport restano le briciole.
Ma per gli sport che ancora non sono riconosciuti dal CONI?
(e non ci sono solo le OCR)
Proprio questo, sottolineava l’avvocato, è il ‘vuoto legislativo’ per cui ogni associazione può redigere il proprio codice etico che tutti gli atleti sottoscrivano, ma qualsiasi sanzione resta nel circuito associativo e un eventuale ricorso di difficile attuazione.
In parole povere, se un atleta OCR venisse squlificato per doping a una gara ufficiale, la sua squalifica riguarderebbe solo l’OCR, quindi potrebbe continuare l’attività agonistica in qualsiasi altro sport.
Ci sono pochi controlli nelle OCR? E solo in competizioni internazionali? Forse si, ma certamente c’è da tenere in considerazione la loro fattibilità. Se volessimo utilizzare il protocollo Wada, bisognerebbe contattare il Ministero della Salute (bypassando il CONI), accedere alla lista dei medici riconosciuti e deputati al controllo antidoping, predisporre un ambiente adeguato al prelievo e tante altre “attenzioni” procedurali atte a garantire la sicurezza sia dell’operazione che dell’atleta stesso.
In più, per un controllo biologico su tutti i parametri, il costo non è prettamente popolare, la cifra da tenere in considerazione si aggira tra i 400 e i 700 euro ad esame, moltiplicato per almeno 6 prelievi (3 uomini e 3 donne), il conto è presto fatto. Dovrebbe poi servire solamente da deterrente: per un numero così esiguo di controllati sarebbe solo questione di sorte essere ‘beccati’.
Non si vuole con questo quadro sul controllo incoraggiare l’uso di sostanze illecite. Nelle OCR, da quando sono nate, si cercano di promuovere i valori dello spirito olimpico e della salute, la correttezza dentro e fuori dal campo. Basterebbero il buon senso e un minimo di informazione per scoraggiare l’uso di sostanze dopanti. Ovunque, infatti, si possono trovare notizie sui loro effetti nocivi e letali.
Le sostanze dopanti
Credo sia utile ricordare i più comuni, in breve.
- Anabolizzanti: il più comune il testosterone, ma non il solo, aiuta ad aumentare la massa muscolare, quindi la forza. Effetti collaterali: rischio di infarto, tumori, o semplicemente acne, irsutismo e calvizie, mentre sulla psiche agisce con aggressività e in periodi di astinenza con ansia e depressione
- EPO, eritropoietina, aumenta il numero di globuli rossi nel sangue, quindi l’ossigenazione dei tessuti e di conseguenza la resistenza. Effetto collaterale l’aumento della densità del sangue con rischio di trombosi, quindi aritmie cardiache, ictus, morti improvvise
- Autoemotrasfusione, in cui si preleva una quantità di sangue in un periodo lontano dalle competizioni e lo si reitroduce prima della gara in modo da avere più globuli rossi in circolo. Gli effetti collaterali sono i medesimi dell’EPO, quindi estremamente e pericolosamente letali
Quindi?
Il problema del doping non è solo creare organizzazioni capaci di contrastarlo, ma instaurare nelle nuove leve sportive una etica della salute che neghi qualsiasi tipo di aiuto all’attività a discapito della salute stessa.
Alcuni casi eclatanti di positività al doping fanno riflettere. Personaggi famosi, anche a fine carriera, vengono scoperti, fanno outing senza tentare alcuna forma di difesa, buttando all’aria intere carriere, passando dalla fama all’ignominia, rinunciando a ricchezze accumulate.
Forse il fardello portato in tutti quegli anni è stato troppo pesante, la coscienza troppo debole per reggere ancora quella maschera da falsi campioni che si erano creati.
Forse hanno voluto loro stessi lanciare un messaggio: non ne vale la pena!