Un ringraziamento a mudrun.it per lo spazio concessomi e per poter raccontare e condividere con altri atleti OCR la mia favolosa esperienza alla Spartan Beast del Vermont 2016.
L’avventura di Fabio alla
Spartan Beast del Vermont
Innanzitutto mi presento, mi chiamo Fabio Fuligni, ho 38 anni e ho iniziato a correre le obstacle races nel 2014 con l’arrivo della Spartan race nel nostro paese. Da circa 2 anni mi sono trasferito per lavoro a Toronto in Canada e ho avuto modo di apprezzare quanto le mud runs siano popolari nel paese della foglia d’acero, con un fittissimo calendario di gare e eventi a disposizione, nonostante i circa 6 mesi annui sotto gli zero gradi (con medie invernali sui -20 e minime a -40). Spinto dall’entusiasmo che questa disciplina nutre ho deciso di allenarmi duramente per poter diventare un atleta sempre più competitivo, gareggiando in diversi eventi tra Canada e Stati Uniti e riuscendo sempre a classificarmi tra i top 30-35% nella mia classe di età, andando a sfiorare per un soffio la qualificazione ai mondiali OCR che si svolgeranno proprio qui in casa nostra a Blue Mountain (terzo posto categoria 35-39 nelle Alpha OCR series a Maggio, ma si qualificava soltanto il primo, pazienza ci riproveremo il prossimo anno).
Vivendo a sole 8 ore di auto dal Vermont (si lo so sembra un’eternità, ma nella vastità del nordamerica 8 ore sono veramente una passeggiata), quale occasione più ghiotta per allenarsi duramente e provare a concludere la terribilissima Spartan Beast di Killington? Questa gara ha un fascino tutto particolare ed è considerata il Superbowl delle Spartan Race, perchè è qui che il concetto di Spartan Race ha preso forma, perchè è qui che si è svolta la prima gara, perché qui si sono svolti 3 campionati mondiali Spartan, ma soprattuto perché è la gara più stramaledettamente dura chi si possa mai affrontare, le statistiche parlano chiaro: 25 km, 2500 metri di dislivello, pendenze tra il 25% e il 30%, tempi medi di percorrenza dalle 6 ore degli elite alle 9-10 ore per gli open.
Spaventato ma emozionato come un bambino davanti ai regali di Natale affronto il mio viaggetto e cerco di presentarmi alla partenza senza trascurare nessun dettaglio di equipaggiamento, attrezzatura, scorte di viveri: mi sono documentato moltissimo sulla gara cercando di assorbire ogni minimo consiglio, perché in una competizione del genere anche il trascurare un minimo dettaglio può fare la differenza tra tornare a casa col proprio scudo o su di esso.
si parte
La mia batteria è alle 12:45: pronti e via bisogna farsi subito largo tra i concorrenti per poter affrontare i primi ostacoli in testa ed evitare il bottleneck: le prime 3 miglia di percorso sono simili a quelle che il giorno dopo i concorrenti della Sprint dovranno affrontare: Lunga discesa per scaldare i motori con le classiche balle di fieno e i log hurdles da scavalcare in velocità. Subito dopo inzia la prima della grandi salite, piuttosto ripida, ma il corpo è ancora al pieno delle energie, il terzo ostacolo è un barbed wired crawl senza fango e rocce, solo erba, ma piuttosto lungo e in salita: il volontario ci prende in giro dicendo che siamo belli puliti e sorridenti, ma smetteremo di ridere molto presto e ci annuncia subito che oggi la gara sarà di 16 miglia (25km) invece delle 13 previste. Proprio alla fine del filo spinato si vede il cartello del primo miglio e quindi forza e coraggio che ne mancano solamente 15 J.
La salita continua intervallata da un paio di muri, da 6’ e da 7’ e in cima alla prima asperità si trova il monkey bar, con le sbarre a distanze e altezze diverse (alcune sopra altre sotto), non particolarmente ostico anche per un non amante del climbing come me. Il percorso continua fino al raggiungimento del secondo miglio con intervalli di discese e salite sull’erba ancora corribili, con una sequenza di due muri da 6’ da scavalcare. Cerco di affrontare questi tratti con la maggiore velocità possibile perché mi aspetto da un momento all’altro lunghe ed eterne scalate in mezzo ai boschi, ma subito dopo la zona rifornimento sono costretto a fermarmi per un paio di minuti per studiare il tabellone del memory test: Per rendere ancora più un inferno questa gara bisogna memorizzare un codice di lettere e numeri che verrà poi richiesto più avanti. Ho letto su qualche forum che molte volte si tratta di un ostacolo fake e il codice non viene chiesto: la scelta è abbastanza impegnativa, vado in paranoia ripetendo il codice per tutta la gara o faccio i burpees nel caso qualcuno me lo chieda? Opto per la prima opzione e comincio a canticchiarmi DELTA-825-3543 ripetutamente in loop come in un disco rotto. Questa sarà la litania che farà impazzire il mio cervello per tutto il resto della gara, ad ogni passo, ad ogni respiro…. DELTA-825-3543. Prima del terzo miglio c’è il bucket brigade in cui si trasporta un secchio pieno di sassi su una salita molto lunga e ripida e conseguente discesa: durante il tragitto vedo parecchi mucchietti di sassi lasciati in giro, questo mi fa pensare che anche qui negli USA ci sono parecchi furbetti, oppure che ci sono altri italiani in gara oltre a me J.
terzo miglio
Terzo miglio di gara e il terreno inizia a cambiare: sentieri di sassi , rocce, fango e alberi si sostituiscono lentamente all’erba, l’unica costante che rimane è la stramaledetta e ripida salita. Lungo la strada si incontra l’Over-Under Through wall (OUT) e lo starway che è una specie di cargo verticale in cui si scavalca prima un muro e poi una serie di scale in legno. Abbandoniamo il percorso della sprint, che troveremo poi nel finale di gara e deviamo verso il percorso della beast trovando uno dei punti di rifornimento, il primo nel quale è possibile fare il refill del proprio hydration pack. La fila al rifornimento è molto lunga e si rischia di perdere tempo prezioso, decido a mio rischio e pericolo di prendere un bicchiere veloce e rifornire l’hydration pack più avanti nel successivo punto ristoro. Inizio un po’ a demoralizzarmi quando vedo parecchia gente a terra in preda ai crampi soccorsa dal personale medico e il cartello dei 4 miglia; sembra passata un’eternità e invece siamo ancora ad un quarto di gara. Affronto l’Hercules Hoist (decisamente molto più pesante nella versione beast) e mi butto in discesa. Il panorama dalla cima della montagna è impressionante, vedo gente ferma che scatta fotografie col cellulare (ma come diavolo fai a portare un cellulare durante una Spartan Race?). Lungo la discesa si affronta il vertical cargo, il traverse z wall e un altro bridge cargo: questi due ultimi ostacoli sono molto vicini alla zona parcheggio e si intravedono anche diverse case e la zona festival in lontananza: sembra di essere usciti dal percorso montano ed entrati nella cittadina di Killington. Si passa sotto un tunnel e si inzia a intravedere una enorme folla di pubblico che assiste ad una delle parti più spettacolari del percorso: il fiume, il ponte e il tarzan swing. Questo ostacolo è una delle bestie nere, nonché un trademark di questa gara: Innanziatutto bisogna indossare un giubbotto salvagente e immergersi in un fiume gelido, fare 200 metri a nuoto e arrivare ad un ponte dal quale pendono delle scalette in corda, arrampicarsi lungo una delle scalette (che non sono rigide e sono molto instabili) e afferrare delle liane posizionate sotto il ponte, passare sotto il ponte aggrappandosi alle liane, suonare la campanella e rituffarsi nel fiume per affrontare altri 200 metri di nuoto.
Cerco di nuotare il più velocemente possibile per scaldarmi ed evitare di andare in ipotermia, quello che sento in lontananza son solamente sordi e secchi rumori di tuffi e frastornanti boati del pubblico ogni volta che qualcuno riesce a completare il percorso con le liane. Il fatto che questi ultimi rumori siano nettamente molto meno frequenti dei primi mi fa pensare che questo ostacolo non abbia un altissimo rate of success. Arrivo molto rapidamente sotto il ponte ma sono costretto a fermarmi in prossimità delle scalette perché c’è una gran fila in attesa: non è molto facile riuscire a salire ed essere contemporaneamente stabili e ogni concorrente impiega qualche minuto per arrivare alla cima della scaletta e avere il miglior appoggio possibile per afferrare le liane. Arriva il mio turno ma le liane sono molto scivolose e i nodi per aggrapparsi piuttosto piccoli, riesco ad afferrarne due ma alla terza sono già in acqua e al termine di altri 200 metri di nuoto raggiungo una zona melmosa e fangosa dove ci sono almeno un’altra cinquantina di persone ammassate che mi fanno compagnia nei miei primi 30 burpees.
L’incubo del fiume gelido non è ancora terminato: per arrivare alla fine del corso d’acqua bisogna guadare il fiume per un lunghissimo tratto camminando sulle rocce con l’acqua ad altezza della vita. Queste rocce hanno la caratteristica di essere estremamente irregolari e appuntite e ad ogni passo si rischia di urtare le ginocchia e le tibie o sprofondare e inciampare a seconda della posizione più o meno elevata dei sassi: riesco a farmi male almeno una decina di volte e oltre al doloroso fastidio degli urti si aggiungono anche i crampi ai quadricipiti e ai polpacci che mi costringono a fermarmi un angolo per allungare i muscoli. Il problema crampi è molto ricorrente tra gli altri concorrenti a causa della prolungata permanenza in acqua fredda e del continuo stress muscolare della camminata sulle rocce. Riesco a uscire dal fiume dopo tante sofferenze e prendo subito un energy gel con maltodestrine ed elettroliti che mi aiuteranno a far passare i crampi, faccio stretching, bevo e cerco di riordinare le idee: da adesso in poi la gara si farà anche con la testa e col cuore, oltre che coi muscoli.
sesto miglio
Si ricomincia a correre, siamo ancora al sesto miglio, di nuovo sentieri alberati e continue salite, non ci sono ostacoli nell’arco di un miglio, ne approfitto per chiedere in giro gli orari di partenza delle batterie per fare un raffronto con la mia prestazione, scopro di essere insieme a persone partite 15 o 30 minuti prima di me, questo mi da morale e mi fa spingere di più sull’acceleratore, il problema crampi sembra risolto, ma mi prometto che prenderò un gel e berrò acqua ogni 45 minuti per evitare spiacevoli sorprese. Tra il settimo e l’ottavo miglio si susseguono in rapida successione il tyrolean traverse (con le corde molto in alto e che quindi consente il passaggio solo a pancia in su), un lunghissimo tratto di barbed wired crawl con fango e rocce, le piscine di fango e il 8’ wall reso scivolosissimo e difficoltoso per via del fango accumulato negli ostacoli precedenti.
Il percorso ricominca a salire vertiginosamente lungo un sentiero alberato veramente molto impegnativo, la corsa è stata sostituita da un vero e proprio power hiking, ci si aggrappa a rami, rocce e quant’altro per riuscire a scalare questo lungo tratto, a volte anche gattonando nei punti più difficili, Si forma una lunghissima coda di persone che procede in fila indiana e i punti per potersi fermare e risposarsi senza intralciare il cammino degli altri sono molto radi. Nel frattempo iniziano a transitare i primi Ultra Beaster, che sono partiti alle 6 del mattino e stanno completando il loro secondo giro di gara. Con grandissima sportività e rispetto verso questi ultra atleti segnaliamo la loro presenza ai concorrenti più avanti e lasciamo un corridoio per poterli far passare, loro ringraziano e ci danno qualche dritta importante su cosa troveremo più in la nel percorso.
dove sono?
Inizio anche a sentire persone dare rilevamenti sui tempi di gara; sono molto contrario ad avere strumenti di navigazione che misurano tempo e km in gara, perché ritengo che una delle caratteristiche più affascinanti della Spartan Race, sia l’imprevedibilità, non devi poter sapere che ore sono, quanto manca e che ostacoli ci saranno, tuttavia aver ascoltato le conversazioni degli altri mi fa notare che manca meno di un ora alle 18:30, orario limite per poter raggiungere il checkpoint posizionato nella zona festival al tredicesimo miglio. Il regolamento di gara è molto tassativo: alle 18:30 inizierà a fare buio e diventerà rischioso affrontare l’ultima grande salita, perciò chi non riuscirà a transitare nell’area festival entro quell’ora verrà escluso dalla gara e potrà dire addio al sogno di medaglia.
La salita nel frattempo sembra non avere più fine e comincia a diventare psicologicamente massacrante. L’ultimo tratto è una ripidissima parete di roccia che va scalata con l’aiuto di una corda e di un cargo net. La cima della montagna è piena di terra, ghiaia e sassi, terreno ideale per il prossimo ostacolo il tractor pull, in cui bisogna spingere una slitta con due sacchi di sabbia all’interno.
il cutoff
Manca circa un miglio e mezzo al cutoff e si scende vorticosamente verso l’area festival. La discesa ha la stessa inclinazione della precedente salita: in alcuni tratti di terra e rocce bisogna mettersi seduti e scivolare, bisogna mantenere un’alta concentrazione per riuscire a trovare il punto migliore dove posizionare i piedi. Ho le scarpe piene di sassi, vorrei toglierle per trovare un pò di pace, ma non c’e’ tempo. Ho finito l’acqua e trovo un punto rifornimento dove è possibile ricaricare l’hydration pack. C’è tanta fila e i volontari mi dicono che mancano solo 20 minuti al checkpoint, mi sale l’ansia di non riuscire a finire la gara e salto il rifornimento buttandomi giù in picchiata, ma non mangio e bevo da parecchio e sono assalito di nuovo dai crampi, non c’e’ tempo di fermarsi vado avanti stringendo i denti e trascinando la gamba tenendo il piede a martello. Vedo la zona festival in lontananza ma il mio morale viene spazzato via quando mi trovo davanti al sandbag carry. Il peggior ostacolo nel mio momento più difficile di gara. Decido di andare avanti ormai solo con l’orgoglio, ci sono pochi minuti che mi separano da una medaglia o dal fallimento totale, andrò in cima a quella salita col sacco di sabbia sulle spalle anche a costo di morire. Riesco a completare l’ostacolo con enorme sofferenza e faccio un lungo scatto, vedo la gente che mi incoraggia e mi da forza per andare avanti. Arrivo al checkpoint con pochi minuti di anticipo, giusto in tempo per poter continuare la corsa….ce l’ho fatta!!!! Circa due terzi dei partecipanti, arrivati dopo di me verranno squalificati e non continueranno la gara. Poco importa se al checkpoint c’è il rope climb, non ho ne le forze e ne la testa per affrontarlo, faccio 4 bracciate e poi mi lascio andare giù: faccio 30 burpees quasi con una gamba sola e poi mi riposo e riordino le idee.
Da questo momento mancano 3 miglia all’arrivo e bisogna completare la gara entro le 21:30. Mangio e faccio stretching perché sta per iniziare la terribile death march. Onestamente non riesco a trovare le parole per descrivere la death march. Per quanto io mi sforzi a dire che si tratta di una tortura, un incubo , qualcosa di terribilmente insano, atroce , demoniaco e malsano, non riuscirò mai a rendere perfettamente l’idea di cosa abbiam dovuto affrontare: 2 miglia (3,2 km) di stramaledetta salita con pendenza media del 32%, un lunghissimo torpedone di persone stremate che viaggiano verso un tragitto infinito che porta dritti all’inferno.
emergenza
Nell’interminabile ascesa verso la cima della montagna un atleta ha un malore e ha bisogno dell’intervento di un medico. L’unico modo per far arrivare la notizia ai piedi della montagna è un lungo passaparola tra concorrenti che urlano e chiedono soccorso a quelli che li seguono. La macchina con i soccorsi non esita ad arrivare e ci spostiamo tutti su un lato per poter agevolare l’intervento, ma la salita è troppo ripida anche per un mezzo a 4 ruote che si blocca nel fango e non riesce più a ripartire. Sono attimi di panico perché la persona da soccorrere è ancora tropo distante per provare un’intervento del medico a piedi. Dopo vari tentativi la macchina riparte e con grande fatica riesce a salire fino in cima tra gli applausi della gente. Lodevole e ammirevole il clima di solidarietà e cooperazione che si trova nelle gare qui in nordamerica.
Riesco a raggiungere la vetta dopo 1 ora di interminabile scalata, è buio e son costretto ad indossare la lampada sulla testa a mo di minatore e i vari dispositivi di fluorescenti di segnalazione, inzia a piovere e c’è un vento gelido che soffia sui miei vestiti ancora bagnati di acqua e fango. Mangio l’ultima barretta e trovo una water station con finalmente dell’acqua, mancano ormai 2 miglia al traguardo. Le gambe vanno meglio ora e dopo aver affrontato il farmer carry con due tronchi di legno legati a dei manici, comincio la lunghissima discesa verso l’area festival, discesa che come le altre sarà lungo sentieri strettissimi di alberi e rocce con la variante del buio ad aumentare le difficoltà e i rischi. Anche in questo caso si procede in fila indiana e molto lentamente, si scivola ci si aggancia a qualsiasi cosa si trova pur di mantenersi in equilibrio. L’atmosfera sembra quella dell’ultimo giorno di scuola, siamo consapevoli che tutto sta per finire e, complice anche l’andatura molto lenta e l’enorme fila di persone, si trova anche il tempo di parlare e scherzare con le persone che ti hanno accompagnato per tutti i 25 km di gara, si ride anche sul memory test che ancora una volta è stato un mind game degli organizzatori per rendere la gara un inferno sotto ogni punto di vista. Dopo quasi un ora di discesa si ritorna all’area festival dove bisogna affrontare in rapida successione tutti gli ostacoli finali della Spartan Sprint.
verso l’arrivo
Appena transitiamo la gente ci tributa una standing ovation, il tutto fa pensare ad una passerella finale, ma non è ancora cosi. Sbaglio lo Spear Throw e sono 30 burpees di cui avrei fatto volentieri a meno e subito dopo troviamo un altro bello scherzetto degli organizzatori: Il log carry, di nuovo in salita, questa è veramente cattiveria. A questo punto della gara anche sollevare un ramoscello diventa un impresa ardua , figuriamoci un tronco di legno. Non ho scelta, stringo i denti affronto questa ultima salita. Con grandissima fatica arrivo al successivo ostacolo, l’inverted wall, poi l’atlas carry con una gigantesca pietra da trasportare per un breve tratto e il multi rig con una combinazione di corde, palle, anelli e sbarra di metallo da percorrere arrampicandosi in rapida successione. Ora finalmente possiamo dire di essere alla passerella finale: slippery wall, cargo net e salto del fuoco finale prima di tagliare il traguardo e mettersi al collo la strameritatissima medaglia.
Tempo finale 8 Ore e 1 minuto…ce l’ho fatta!!!!! Ci si abbraccia e ci si scambiano complimenti, dopo 25 km di torture e sofferenze passati con altri sconosciuti ogni persona che ti sei portato con te al traguardo è diventato ormai come un membro della tua famiglia. Attorno a me vedo ragazze che piangono, sono scene molto toccanti e faccio fatica a trattenere anche io le lacrime.
E’ stato un inferno, è stata stramaledettamente dura ma assolutamente gratificante e di sicuro una delle esperienze più emozionanti della mia vita!!!!!